By Cristina
Volevo aspettare il momento giusto per scrivere della nostra esperienza ad Auschwitz e Birkenau; quel momento è arrivato. Ritengo che pubblicare l’articolo il giorno della memoria sia il modo migliore per far conoscere le atrocità commesse in questi luoghi e in tanti altri, per non dimenticare mai!
Dopo questa visita riecheggiano nella mia mente queste parole, che ora hanno ancora di più un senso concreto:
“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo”
Primo Levi
Avevo avuto occasione di visitare questo campo quando avevo solo 18 anni, all’epoca non c’erano guide che spiegavano, la visita era libera, però mi ricordo che già allora aveva lasciato in me un senso di totale sconforto, per di più, all’epoca era pieno inverno, era freddo ed il campo era ricoperto di neve, fu ancora più toccante.
Ora l’ho visitato con la coscienza più matura, durante una bella giornata di sole a giugno (mi viene da dire, per fortuna) e anche in questa occasione al termine della visita ero amareggiata e avevo una gran voglia di gridare ad alta voce “non deve più succedere”; questo è il mio piccolo modo per farlo, perché raccontare è fondamentale.
La visita al campo l’avevamo programmata in occasione del viaggio a Cracovia, dove ho fatto base.
Auschwitz dista circa 60 km da Cracovia in una località che si chiama Oswiecim, e si impiega circa un’ora e mezza di viaggio per arrivare al Museo. La visita dura circa 4 ore e l’orario di apertura e di chiusura varia in base al mese.
Il campo si raggiunge o in treno o con l’autobus. Noi abbiamo preso il bus all’andata, comodo per il fatto che la fermata è di fronte al campo di concentramento, mentre per il ritorno, vista la moltitudine di persone alla fermata del bus, abbiamo preso un taxi che ci ha portato alla stazione per poi prendere il treno (da non credere il treno ci mette le stesse ore del bus, va veramente piano).
L’ingresso al museo è gratuito ma la prenotazione online è obbligatoria, si paga solo la visita guidata che può essere individuale o di gruppo, noi l’avevamo prenotata da casa in italiano. Il sito web del campo è ben strutturato ci sono pagine dedicate alla storia dell’ex-campo di concentramento e sterminio nazista oltre a quelle dedicate all’organizzazione delle visite al Luogo della Memoria e ai programmi educativi, ecco il link http://auschwitz.org/en/more/italian/ .
Per accedere all’interno al museo bisogna passare attraverso un sistema di sicurezza e si possono portare borse e zaini che non superino le misure di 30x20x10 cm; all’ingresso è comunque presente un guardaroba dove si devono lasciare gli zaini/borse ecc… (a pagamento).
La scelta di prenotare una guida ci ha permesso di vivere appieno l’esperienza, di comprendere a fondo i dettagli e la storia di ogni parte del percorso e di ascoltare importanti racconti sui fatti avvenuti in questi luoghi.

Auschwitz è un complesso di numerosi campi, i principali sono Auschwitz 1, il primo campo di concentramento oggi sede dell’esposizione/museo, Auschwitz 2-Birkenau, il campo di sterminio costruito successivamente come ampliamento del primo e Auschwitz 3-Monowitz, il campo in cui è stato deportato Primo Levi e di cui non rimangono resti; da questi dipendevano altri campi sussidiari, circa una cinquantina.

“Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi) è la scritta che si trova all’ingresso del campo di concentramento, prima di varcare il cancello; è la scritta storica, che tutti conosciamo dai documenti, ma vederla dal vivo, vi assicuro, è ancora più sconcertante.
La zona, prima dell’occupazione nazista, era la sede delle caserme asburgiche, gli edifici sono disposti parallelamente uno accanto all’altro e si affacciano su larghi viali.

Una volta all’interno la guida ci ha condotto attraverso i vari blocchi, adibiti a mostra permanente spiegando la storia del campo e la vita al suo interno.

A testimonianza della brutalità dei fatti accaduti in questo luogo rimangono i documenti, le foto e gli oggetti delle persone che hanno vissuto tra queste mura; è impressionante vedere le teche con i vestitini dei bambini, i capelli dei deportati, le valige con i loro nomi, le scarpe. Abbiamo visitato anche le prigioni, le piccolissime celle di isolamento, senza luce, dove i deportati stavano in piedi, per giorni senza cibo e senza acqua.






All’esterno sono ancora ben visibili le recinzioni con il filo spinato.



Il Blocco 11 era chiamato anche blocco della morte, in quanto in questo luogo avvenivano le punizioni. Nel piano interrato ospitava le celle, e al piano terreno la stanza in cui si riuniva la commissione di giustizia, il cui compito era quello di giudicare i prigionieri detenuti in questo blocco che, se ritenuti colpevoli venivano fucilati direttamente nel muro al di fuori dell’edificio.


L’ultima sezione del campo accoglie invece i forni crematori che sono dislocati in un basso edificio sotto un terrapieno. La prima stanza che si incontra era la “doccia”, sul soffitto si notano delle aperture attraverso le quali venivano immessi i gas mortali e una porta adiacente conduce alla stanza con i due forni crematori.


All’uscita c’è una navetta che conduce a Birkenau che dista 3 km da Auschwitz 1, dove ritroviamo la stessa guida che ci accompagna nella visita del campo.

Birkenau sorge sui resti della cittadina di Brzezinka, sfollata e rasa al suolo per poter costruire il campo di sterminio a partire dal 1941, qui furono rinchiusi prigionieri civili e di guerra. All’arrivo si nota un lungo edificio con un arco centrale attraversato dalle rotaie del treno; qui entravano i convogli carichi di deportati. All’interno del campo è stato lasciato un vagone rosso, esempio di quelli utilizzati per il trasporto dei prigionieri.

Il campo si trova in una distesa desolata, conteneva più di 300 baraccamenti (ne restano circa una sessantina) ed arrivò a contare 100.000 internati utilizzati soprattutto per il lavoro forzato.

Il campo era diviso in settori, suddivisi a loro volta in parti tutti circondati da filo di ferro spinato. In questo modo si tenevano divisi le donne dagli uomini, gli ebrei dagli zingari.


Come ho detto in premessa la visita di questi luoghi lascia un segno profondo ed è difficile non farsi sopraffare dalle emozioni come pure dalla rabbia verso la malvagità inaudita che alcuni uomini hanno potuto generare nei confronti di altri. Ormai siamo arrivati al punto che i superstiti sono sempre meno per raccontare ciò che è avvenuto, rimarranno solo questi luoghi che è necessario visitare per non dimenticare e per cercare di non fare gli stessi errori!
Termino questo articolo anche con le impressioni che Marcello, mio marito, ha scritto appena terminata la visita:
“Per tutta la durata della visita ho avuto come la sensazione di avere il cuore stretto in un pugno ed ogni volta che la guida mi mostrava un particolare sulle modalità di prigionia e coercizione usate dai nazisti era come se il pugno di stringesse sempre di più. Alla fine della visita ho avuto la sensazione di dover fare un grande respiro per riprendere fiato e per far ripartire il mio cuore. Immediatamente dopo ho pensato che era meglio dimenticare tutto, ma poi mi sono detto …. No! non posso dimenticare….. anzi devo cercare di farlo sapere a più persone possibile…”
Ho visitato i campi di concentramento due anni fa, anch’io in occasione del mio viaggio nella splendida Cracovia. Per settimane intere mi sono chiesto se era il caso di dedicare un post a questa visita, perchè troppo grande era il rischio di cadere nella retorica, con il rischio, sempre presente, di scrivere banalità. Alla fine ho deciso di scriverlo ugualmente perchè di questo argomento parlarne non è mai troppo, soprattutto in questo momento storico in cui sembra che in giro ci sia qualche nostalgico. Nelle tue parole e nelle tue immagini ho rivisto le mie impressioni maturate in quel momento.
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Giusta osservazione, occorre parlare di ciò che è avvenuto, fare conoscere il più possibile le atrocità commesse. Andrò a leggere il tuo articolo, mi hai incuriosito!!!
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Grazie
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Grazie a te per aver letto l’articolo!!!
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